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Sant’Ilario di Poitiers: chi era? Perché un Santo francese è patrono di Parma? La nostra città lo festeggia 13 gennaio, proprio oggi.

Per la gioia dei piccoli, ma anche dei grandi, in questi giorni nelle vetrine dei panifici e delle pasticcerie di Parma appaiono dei dolci particolari: biscotti di pasta frolla a forma di piccola scarpa, ricoperti di cioccolato o glassa colorata. Che strano! Come mai?

Cerchiamo di rispondere a queste domande andando con ordine. Sant'Ilario nacque a Poitiers all’inizio del IV secolo da una famiglia pagana di alto lignaggio. Studiò i filosofi greci ma fu la lettura della Bibbia che lo portò a un passo decisivo: la conversione al Cristianesimo. Venne acclamato Vescovo della sua città nel 353.

A causa della sua battaglia contro l’eresia ariana fu esiliato in Frigia (una parte dell’attuale Turchia) dove rimase per alcuni anni.
Si suppone che proprio durante il viaggio di rientro in patria, si ritrovò a passare per Parma dove, come riporta la narrazione popolare, trovò riparo per la notte a casa di un ciabattino.
Pur essendo un personaggio importante, viaggiava lungo la Via Emilia da solo, come un semplice pellegrino.
Quando il padrone di casa vide le misere condizioni delle scarpe di Ilario, gliene regalò un paio nuovo.
Aveva ancora tanta strada da fare … La mattina seguente il Vescovo partì che faceva ancora buio e solo al suo risveglio il ciabattino vide che le scarpe vecchie e consunte del suo ospite si erano trasformate in scarpe d’oro! La sua generosità era stata ben ripagata.
Sant’Ilario è il principale patrono di Parma. Forse il culto venne assimilato dai Francesi, presenti in Italia nel XIII secolo, ma sicuramente il racconto del suo transito per Parma e del miracolo svolsero un ruolo importante nella scelta che parrebbe risalire al 1266.

Le dolci scarpette di Sant’Ilario ogni anno ci ricordano questo avvenimento.
Siamo a Parma, nominata Città Creativa della Gastronomia dall’Unesco nel 2015 quindi nulla di strano che la memoria di un episodio sacro si traduca in una tradizione legata al cibo.
E così le domande poste all’inizio hanno trovato una risposta.
Cosa resta, oltre alle scarpette, a ricordarci il nostro Santo Patrono?
Diversi dipinti e affreschi nelle chiese cittadine tra cui la Cattedrale (Correggio) e San Giovanni Evangelista (Parmigianino), l’antica memoria di una chiesa, a ovest della città, a lui dedicata e non più esistente.
Nel 1663, presso la cappella dell’Ospedale Vecchio sorto lungo il tracciato della via Emilia, si edificò l’Oratorio di Sant’Ilario dove il culto del Patrono di Parma venne trasferito. La chiesa è un piccolo gioiello che vale la pena visitare. Completamente decorata in stile barocco, conserva al suo interno due sculture che raffigurano il Santo, una risalente al XV secolo e l’altra ottocentesca.

L’oratorio rappresenta una tappa fondamentale nel nostro itinerario in Oltretorrente, un quartiere caratteristico di Parma dove si trovano altri bellissimi luoghi di culto.
Saremo felici di accompagnarvi alla loro scoperta!

Lunedì, 11 Gennaio 2021 12:28

La Madama del Palazzo

Quante volte l’abbiamo visto nei TG? Palazzo Madama (ex Palazzo Medici), splendido edificio nel cuore di Roma, attuale sede del Senato della Repubblica.

Cosa lo lega a Margherita d’Austria? Figlia naturale e ribelle dell’Imperatore Carlo V, vedova giovanissima di Alessandro De’ Medici, sposa riottosa di Ottavio Farnese, Governatrice illuminata delle Fiandre e madre fiera del grande condottiero Alessandro.

Personaggio di grande carisma, Margherita veniva comunemente chiamata Madama. Palazzo Medici, avuto in eredità dal primo marito e sua residenza romana prese da lei questo nome e lo mantenne per sempre.

Come mai una giovane sposa risiedeva lontano dal suo legittimo consorte?

Come molte nobildonne dell’epoca Margherita, che era nata a Oudenaarde nelle Fiandre da una relazione di Carlo V con una giovane borghese, fu per il padre una pedina da utilizzare nello scacchiere politico europeo.

Alessandro de’ Medici, che sposò a 14 anni, fu assassinato dopo solo un anno di matrimonio. Lasciò alla moglie palazzi, feudi e gioielli, tra cui alcune gemme straordinarie appartenute a Lorenzo il Magnifico, oggetti per cui Margherita aveva una vera passione.

Carlo V non perse tempo e la fidanzò con Ottavio Farnese, nipote del potentissimo Papa Paolo III, cercando così di risolvere i problemi che il Papato e la famiglia Farnese gli creavano.

Margherita non gradì affatto l’idea di sposare quel, come ella stessa scrisse al padre, “piccolo, sporco e rozzo” Farnese. Fece di più, si rifiutò di firmare il contratto matrimoniale, minacciò “me butterò a mare” e smise di vestire a lutto solo il giorno del matrimonio, celebrato da Paolo III nel 1538 nella Cappella Sistina. Nessuno la sentì pronunciare: “Sì”.

Si dice che fu necessario l’intervento del suo confessore, Ignazio di Loyola, per convincerla ad accettare e consumare il matrimonio. Frutto dell’unione con Ottavio saranno 2 gemelli. Sopravviverà solo Alessandro, che erediterà dal padre il Ducato di Parma e Piacenza e diventerà famoso come uomo d’armi a servizio dello zio Filippo II.

La Galleria Nazionale di Parma conserva un dipinto attribuito a Sebastiano del Piombo che ritrae Margherita in una muta conversazione col padre, il cui busto è collocato in una nicchia, di fianco alla Duchessa.

Carlo è mesto, con le labbra all’ingiù, rattristato da questa figlia disobbediente.

Margherita è rigida ma rassegnata come simboleggia la posizione del guanto, quasi completamente sfilato dalla mano destra, la mano del potere. Testimone definitivo della resa, il ventre arrotondato dalla gravidanza.

Margherita non apprezzò mai la compagnia di Ottavio. Entrò a Parma solo nel 1550 e nel 1558 venne posta la prima pietra di Palazzo Farnese, a Piacenza, dove la Duchessa preferiva abitare rimanendo lontana dal marito.

Visse a lungo a Roma e poi nelle Fiandre, di cui fu nominata Governatrice dal fratello Filippo. Stanca della vita pubblica si ritirò nel suo feudo abruzzese, nella città di Ortona, dove morì il 18 Gennaio 1586.

Riposa nella Chiesa di San Sisto a Piacenza celebre per aver ospitato la Madonna Sistina di Raffaello.

Erede della sua fortuna fu il figlio Alessandro. I magnifici gioielli, gli arazzi e le gemme che Margherita tanto amava giunsero a Parma da Palazzo Madama, entrando a far parte delle collezioni farnesiane che contribuirono a rendere la nostra città una tappa obbligata del Grand Tour, quel viaggio culturale che tutti i giovani aristocratici europei dovevano compiere per perfezionare la loro educazione.

Vi piacerebbe visitare Parma come i giovani nobili del ‘700? Partecipate al nostro Grand Tour! 

Giovedì, 28 Gennaio 2021 10:45

Andare a Canossa: le origini

“Andare a Canossa”. Quante volte abbiamo sentito questa espressione?
Quale storia, quali eventi si celano dietro questa frase?
Tradotta in tante lingue diverse, ha un significato comune: fare penitenza.
Ma cosa si intende? E perché proprio Canossa?
Scopriamolo insieme.

Quando? Torniamo indietro nel tempo, all’Età di Mezzo, nel gennaio del 1077.
Dove? Questo è chiaro, a Canossa, nel Castello arroccato sulle colline a sud di Reggio Emilia.
Chi? Tanti personaggi e tutti importantissimi.
Parliamo del Papa, Gregorio VII, del Re, futuro Imperatore Enrico IV, della padrona di casa, la contessa Matilde, di Ugo Abate di Cluny, il più potente monastero dell’epoca.

Perché? Questo è il punto cruciale.

Dal 1075 Papa e Imperatore erano ai ferri corti.
Gregorio VII aveva unilateralmente cambiato le regole sull’elezione dei vescovi riservandola esclusivamente al Papa.
Enrico non era della stessa opinione.
Accusò Gregorio dei più atroci abomini e ne chiese, assieme ai Vescovi tedeschi che lo appoggiavano, le dimissioni.
La risposta del Papa non si fece attendere: Enrico venne scomunicato.

Che cosa comportava quest’atto? La scomunica, se coinvolgeva un potente, aveva due conseguenze: questi era espulso dalla Chiesa e, ancora peggio, cessava il vincolo di fedeltà dei sudditi nei suoi confronti.
Enrico non poteva permetterselo.
Decise quindi di raggiungere il Papa e chiedere il suo perdono, così da riottenere i suoi pieni poteri.

Il Papa era partito l’8 gennaio 1077 per la Germania, dove intendeva incontrare i Vescovi a lui fedeli. Ma era inverno e il viaggio venne rallentato dal brutto tempo.Gregorio si trovava a Mantova quando fu raggiunto dalla notizia che il Re era ormai in pianura padana.
Pensò quindi di fare retromarcia verso Roma, fermandosi lungo il cammino nel castello di Canossa, dimora principale della sua alleata, la contessa Matilde.
Grazie alla mediazione della Contessa, cugina di Enrico e di Ugo da Cluny, suo padrino di Battesimo, il Papa accettò di incontrare il Re penitente.

L’episodio è famoso.
Dopo averlo lasciato 3 giorni al freddo e al gelo, vestito solo di un saio e a piedi nudi nella neve, il 28 gennaio 1077 Gregorio VII accolse Enrico a Canossa e lo reintegrò nella Chiesa cancellando la scomunica.
Non avrebbe potuto fare diversamente visto che il Re aveva seguito alla lettera la  procedura di penitenza prevista in questi casi.

L’evento iniziò ad essere decantato dalla Riforma protestante nel ‘500 e reso definitivamente celebre dalla frase che il Cancelliere tedesco Bismarck pronunciò nel 1872 per sottolineare l’indipendenza del Reich: “Noi non andremo a Canossa, né con il corpo né con lo spirito”.

Cosa resta di tutto questo?
Una frase divenuta universalmente proverbiale e le rovine di un castello situato in una posizione mozzafiato.

Volete conoscere meglio la Contessa Matilde e i luoghi dove è vissuta? Ecco la nostra proposta di visita guidata…

Il legame tra Renata Tebaldi e Parma iniziò molto presto.
Pur essendo nata a Pesaro il 1° febbraio 1922, il futuro famoso soprano trascorse la sua infanzia a Langhirano e, a 17 anni, iniziò a studiare Canto presso il Conservatorio Arrigo Boito di Parma.
Un percorso che, nonostante le resistenze della madre contraria a un futuro sulle scene per la figlia, la vide già nel 1945 esibirsi sul palco del Teatro Regio di Parma.
Fu l’inizio di una storia d’amore tra la soprano dagli occhi color zaffiro e la voce di velluto e i melomani cittadini che la chiameranno per sempre, semplicemente, la Renata.

Voce d’angelo. Così la definì Arturo Toscanini nel 1946, dopo averla diretta nel Te Deum di Verdi per il concerto di riapertura della Scala di Milano, mettendo il suo sigillo sulla carriera di una delle voci liriche più conosciute nel mondo. Qualche tempo dopo, l’arrivo nei teatri italiani e in particolare alla Scala, della Callas, diede vita a una rivalità a cui Renata decise di sottrarsi, accettando di lavorare negli Stati Uniti. Il pubblico di oltreoceano la seguì da subito numeroso, tanto che venne affettuosamente chiamata “Miss Sold Out”
Anche il suo barboncino, New II, divenne molto popolare. Era solito accompagnare con uggiolati (intonati ovviamente) i vocalizzi con cui la Tebaldi scaldava la voce prima di andare in scena.
Renata conquistò l’America che la ricompensò con una stella incastonata sulla Walk of Fame di Hollywood.

La sua ultima performance al Teatro Regio di Parma fu nel 1962.
Cantò la Bohème, diretta da Arturo Basile, uno dei suoi amori complicati.
Il terzo atto, il modo in cui il soprano interpretò lo strazio dell’abbandono, conquistarono definitivamente il pubblico di Parma. Le vicende personali dell’artista emergevano nel canto, toccando i cuori.

Dopo un anno di riposo la Tebaldi ritornò sul palcoscenico proprio al Met.
Non solo l’antica rivale Maria Callas le inviò un telegramma di incoraggiamento ma, al termine dell’opera, si recò dietro le quinte per complimentarsi.
Un gesto che segnò la definitiva riconciliazione tra le due dive.

Anche il suo addio alle scene fu un trionfo. Avvenne nel 1976 alla Scala, con un indimenticabile concerto di beneficenza a sostegno dei terremotati del Friuli.

Donna di gran classe, durante la sua vita accumulò foto, gioielli, abiti, ricordi di una carriera straordinaria ora ospitati nel Museo Renata Tebaldi, presso la Scuderie di Villa Pallavicino nella Busseto di quel Verdi che tanto amava.

La musica, l’opera, passioni che hanno radici profonde nel nostro territorio. Se volete saperne di più, informatevi sui nostri percorsi PASSEGGIATE MUSICALI IN CITTÀ o ITINERARI VERDIANI

17 FEBBRAIO GIORNATA INTERNAZIONALE DEL GATTO

Vivono nelle nostre case, giocano con noi, sono morbidamente affettuosi, ma non si lasciano mai andare fino in fondo.
Nessuno di voi si è mai chiesto fissando il proprio micio che, a sua volta, sembra fissare l’infinito: “A cosa starà mai pensando?”
Il gatto ha i suoi percorsi (mentali o meno) e non sente il bisogno di condividerli con il suo umano.

Sarà per questa sua natura indipendente che il nostro amico peloso per tanto tempo non è stato visto di buon occhio.
Tante erano le credenze popolari che identificavano il gatto col demonio (i gatti neri!) e lo collegavano alla magia. Il numero 17, considerato dai superstiziosi portatore di sventure, è associato ai mici per la loro presunta capacità di vivere più vite, assumendo il significato di ‘1 vita per 7 volte’. E proprio febbraio è diventato il mese dei gatti e delle streghe.

Possedere un gatto nel Medioevo significava rischiare di finire sul rogo per stregoneria!

Anche l’arte rinascimentale non scherzava con questi animali.
Nella sua Ultima Cena, il Ghirlandaio posiziona un gatto proprio di fianco a Giuda, accomunandolo al peggior tradimento della storia del Cristianesimo.

Ci dimentichiamo però che il gatto ha, per lungo tempo, lavorato per noi. Predatore di taglia ridotta veniva sfamato e ospitato al caldo a patto che tenesse libere cantine e case dai topi
Sotto al tavolo, intorno al tavolo ma anche sopra. Così lo troviamo raffigurato nei quadri di Felice Boselli che da Felix qual era (feles, felino=felix, felice)  fa della presenza costante di un gatto nelle sue nature morte, la caratteristica che rende riconoscibile i suoi quadri.

Più igiene nelle case e meno presenza di gatti? No, anche nell’era dei frigoriferi i mici rimangono ad abitare con noi.
Sornioni ed elegantissimi ci guardano dal basso in alto, con saggia benevolenza, i gatti in ceramica di Fornasetti.

I quadri di Felice Boselli ti aspettano negli ITINERARI SUI CASTELLI DELLA BASSA mentre la mostra Theatrum Mundi di Fornasetti (gatti compresi) è inclusa nelle nostre VISITE GUIDATE AL COMPLESSO MUSEALE DELLA PILOTTA

Giovedì, 25 Marzo 2021 10:08

Toscanini: talento e rigore

Concepito, a suo stesso dire, tra un’avventura e l’altra del padre garibaldino, il 25 marzo 1867 nasce Arturo Alessandro Toscanini. Memoria prodigiosa e orecchio musicale fuori dal comune gli valgono l’ingresso alla Regia Scuola di Musica (attuale Conservatorio Arrigo Boito) di Parma.

Serio, implacabile nello studio, reagisce alla disciplina ferrea del Conservatorio con memorabili scherzi come ‘la beffa del baffo’ quando insieme con alcuni compagni taglia un baffo all’odiato istitutore che dorme tranquillo nel camerone comune.

Toscanini cresce musicalmente a Parma dove, per ovvie ragioni geografiche, si suona soprattutto Verdi.

Ma nella notte di Natale del 1883 è proprio Parma a ospitare la prima rappresentazione italiana del Lohengrin di Wagner. Per lo studente Toscanini, che assiste allo spettacolo dall’orchestra come violoncellista di fila, è amore a prima vista anzi, a primo orecchio. La novità e l’originalità di questa musica nuova, fanno prendere una decisione irremovibile ad Arturo: non avrebbe più composto.
Gli spettatori del Teatro Regio di Parma si dividono in due fazioni opposte: pro e contro Wagner e anche il percorso musicale di Toscanini verrà profondamente segnato da questi due compositori.

L’Aida di Verdi è la sua prima direzione d’orchestra, un esordio del tutto occasionale. Partito in tournée per il Brasile come violoncellista a soli 19 anni, si trova a dover sostituire il direttore contestato dagli orchestrali che non lo ritenevano all’altezza. Sale sul podio a Rio De Janeiro e dirige a memoria. Un trionfo.

Il ritorno in patria significa ritorno al ruolo di violoncellista e a Verdi, per cui suona in occasione della prima dell’Otello alla Scala. Il rigore nell’esecuzione, che il Maestro pretende sotto gli occhi di Toscanini, diventerà uno dei suoi tratti caratteristici come direttore d’orchestra. Un rigore ottenuto in modo molto energico. Si dice che, quando la sua orchestra americana commetteva errori, Toscanini cominciasse a urlare in inglese per passare all’italiano e poi finire, furibondo, in dialetto parmigiano.

Interrompe la sua collaborazione col Festival wagneriano di Bayreuth, unico non tedesco invitato, per ragioni politiche. Al telegramma di Hitler che nel 1933 lo esorta a restare risponde: ’Con voi mai’
Toscanini amava dire infatti ‘quando si piega la schiena, si piega anche l’anima.

Un inizio nella direzione d’orchestra con Verdi, la chiusura con Wagner.
Il 4 aprile 1954 Toscanini vacilla sul podio mentre dirige l’orchestra newyorchese NBC, si copre gli occhi con una mano, continua ma non riesce a completare il Preludio del Tanneuser.

Dopo 68 anni di una straordinaria carriera, era arrivato il momento di riposarsi.

Arturo Toscanini si spegne il 16 gennaio 1957 nella sua casa a Riverdale - New York. E' sepolto nel Cimitero Monumentale di Milano.

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